Riflessioni : abitare con i sensi - 2013

“Una casa ha un senso solo quando la sentiamo veramente nostra. O quando almeno una sua parte ci appartiene e ci fa stare bene. Ogni persona dovrebbe avere un suo spazio, una stanza, un oggetto che la faccia sentire a casa: può essere la coperta di Linus, oppure la cucina per le signore che amano i fornelli, la cantina con gli attrezzi per gli uomini ingegnosi, la stanza con i dischi ed i poster per gli adolescenti. Abbiamo comunque tutti bisogno di un territorio che sia soltanto nostro, altrimenti manca un perno, un punto su cui fare leva per muoverci e calcolare le distanze. […]
La casa è la tana in cui tornare e sentirsi protetti. E’ la cuccia in cui sentire l’odore della propria famiglia ed essere confortati. La casa è il luogo che più di ogni altro luogo devo personalizzare
e rendere parte di me. Se la vostra casa è intercambiabile con quella di qualcun altro, lo possono essere anche le vostre vite? Non finite mai di caratterizzare gli ambienti in cui vivete; non abbiate paura di trasformare, di cambiare, di osare anche contro il parere degli altri: c’è in gioco la vostra vita.” (Gianluca Pozzi da “I SENSI DELLA CASA”)

Esistono luoghi che non sono solo un posto dove abitare ma dimore dell’anima.
Ambienti fatti per compiacere i sensi, dove ritrovare colori, sapori, odori.
Superfici in cui “specchiarci” per ri-scoprire il nuovo, ri-trovare infinite corrispondenze armoniche tra noi e l’intorno.

Ecco che allora il “vedere” acquista valore come fatto mentale: “vedere”con tutto il corpo!
Dei cinque sensi, VISTA-UDITO-TATTO-OLFATTO-GUSTO, quello meno sviluppato è sicuramente il tatto.

Nella cultura contemporanea che viviamo, si ha il predominio della dimensione visiva che, pur avendo profonde radici nella storia della civiltà occidentale, raggiunge oggi proporzioni inedite.
Si potrebbe, a ben ragione, porci il quesito : siamo vedenti o vista-dipendenti?

Le neuroscienze continuano ad offrirci una straordinaria ricchezza di connessioni ed interazioni fra le aree sensoriali del cervello, dimostrando quanto sia difficile affermare che una qualsiasi percezione sia, ad esempio, puramente visiva o puramente uditiva.
Per Hull, autore de “Il dono oscuro.
Nel mondo di chi non vede”, vedere significa spostare la propria attenzione, il proprio centro di gravità, su tutti gli altri sensi: “la pioggia ha un modo tutto suo di disegnare i contorni e di colorare cose che fino ad un attimo prima erano invisibili; invece di un mondo intermittente, e quindi frammentario, le gocce creano un’esperienza acustica senza soluzione di continuità.”

Un chiaro esempio si ha quando una persona diventa cieca: essa non pensa affatto di avere perso il mondo visivo ma sente di vivere pienamente in una realtà costruita dagli altri sensi.

Come è stato analizzato, a partire da studi sui non vedenti, esistono molti stati intermedi o intersensoriali (in taluni ambiti si parla persino di “interlingua” o “metalese”) ove è possibile costruire un’immagine usando esclusivamente informazioni trasmesse dai sensi diversi dalla vista.

Un cieco ha un’attenzione profonda, un’empatia intima con il mondo, per lui è superfluo distinguere che cosa sia visivo e che cosa sia uditivo, che cosa sia immagine e che cosa sia linguaggio, intelletto ed emozione, in quanto tutte queste componenti si fondono armonicamente assieme.

Ciò detto, è da considerare che comunque ognuno di noi ha un proprio personale modo di percezione dell’intorno, codificato come “Rappresentazione V.A.K.”(visivo, uditivo o cinestesico, ossia con elaborazione dell’insieme di sensazioni fisiche e tattili).

Questo perché la memoria si può suddividere in tre categorie, e ciascuno di noi ha in sé elementi delle tre modalità, ma nella maggioranza dei casi ogni individuo privilegia uno dei tre canali.
In linea generale:
83 % (circa) della memoria è: visiva,
11 % (circa) della memoria è: uditiva,
6 % (circa) della memoria è: cinestesica.
Ad un tale approccio corrisponde :
-per i visivi la predisposizione a vedere il mondo per immagini.

Queste persone hanno la tendenza a parlare in fretta, non si curano di come pronunciano le parole ma si sforzano di attribuire parole alle immagini.
Amano esprimersi per metafore visive, dicendo come le cose appaiono loro;
-gli uditivi hanno la predisposizione a mostrarsi più selettivi circa le parole da usare.
Il loro eloquio è più lento, più ritmico, più misurato.

Siccome le parole hanno per loro grande importanza, stanno attenti a quello che dicono.
-per i cinestesici la predisposizione è reagire soprattutto a quanto si può sentire tattilmente.
Spesso si servono di metafore tratte dal mondo fisico parlando, ad esempio, di cose “pesanti” e “intense”; aspirano ad “entrare in contatto” con la realtà, si potrebbe quasi sostenre l’idea che “il pensare divide il sentire unisce”.

Negli ultimi anni osserviamo, con la nascita di SPA e centri termali di nuova concezione, un progressivo avvicinamento al mondo del wellness.
In contrapposizione a quella società, globalizzata e logocentrica, “divorata” dalla tecnologia e dall’incubo della “purezza” assoluta.
Benessere che a poco a poco entra nella quotidianità, con la cura del corpo, per trasformare, anche in casa, gli spazi di servizio in vere e proprie “stanze da bagno”.

Con questo è bene rammentare come vi siano storicamente numerose culture legate ad una lunga tradizione di bagni pubblici : luoghi di sospensione, dalla routine quotidiana, dove poter dormire e riposare nella semi-oscurità, immersi in uno spazio che s’illumina di bagliori mentre il tepore fa sprofondare in una piacevole sensazione avvolgente.